«Andrea è una persona dolcissima; io posso affermare con sicurezza che le cose essenziali della vita, i valori che contano, me li ha insegnati lui, diventando il mio Maestro.
E’ nato il 13 Luglio 1970 come secondogenito; io avevo 25 anni, Enzo 28, ed eravamo un po’ sprovveduti. Dopo una gravidanza vissuta serenamente e in buona salute, con un parto veloce e senza alcun problema eccolo fare la sua comparsa con un bel faccino rotondo; la mia prima domanda quando l’ho visto è stata: «A chi somiglia questo bel bambino?».
Durante la degenza in ospedale, Andrea era visitato dal medico che dopo si intratteneva a parlare con me, senza mai minimamente accennare all’insorgere di qualche problema. A casa, nonostante le cure, Andrea mangia poco, cresce meno del previsto, in compenso è un bambino tranquillo.
Dopo alcune settimane, una domenica mattina, Andrea tarda a svegliarsi, io mi avvicino al lettino e vedo che fa strani movimenti, lo prendo in braccio, lo scrollo, ma non si sveglia e continua ad avere come dei tremiti. Allarmati cerchiamo subito un dottore e riusciamo a contattare il dottor Cavallo che arriva in poco tempo e, dopo un’occhiata molto veloce, ci compila un foglio di ricovero per l’Ospedale Pediatrico di Torino, dicendoci di ricoverarlo subito, senza perdere altro tempo.
Non mi sento di descrivere i nostri sentimenti in quei giorni, le parole non sono adeguate per certi stati d’animo e poi mi sembra di violare la nostra intimità.
Dopo alcuni giorni e ripetute visite, quando Andrea era ormai fuori pericolo, un medico ci chiama nello studio e, cercando le parole, ci comunica che Andrea presenta la sindrome di Down ed alle nostre domande per cercare di capire qualcosa in più, si dimostra incredulo che un bimbo nato in ospedale, visitato da medici ed ostetriche, sia stato dimesso senza che noi avessimo avuto alcuna informazione circa il suo stato di salute! Dopo una settimana di degenza in ospedale ed aver messo a punto una cura per le convulsioni, di cui, poi, non hanno scoperto la causa, torniamo a casa con il nostro piccolo e in preda alla confusione.
Allora, e sono trent’anni fa, i bambini portatori di handicap avevano solo due possibilità: o venivano istituzionalizzati o venivano chiusi in casa perché non c’era alcun servizio per loro.
Non venivano accettati a scuola e spesso la famiglia, lasciata sola, viveva questo evento come una colpa di cui vergognarsi.
Nonostante lo smarrimento iniziale, di una cosa eravamo certi. Andrea sarebbe rimasto con noi e non sapevamo ancora come, ma eravamo determinati a fare tutto il possibile perché avesse una vita dignitosa.
Ero e sono tuttora convinta che tutto ciò che accade nella vita abbia un senso.
La mia preoccupazione più grande non era tanto per il presente, ma per il futuro di Andrea, finché un giorno mi si rivela una frase del Vangelo in una nuova luce, ricca di significato e di vita: “Non affannatevi dunque per il domani, perché il domani avrà già le sue inquietudini. A ciascun giorno basti la sua pena.” Questa frase mi ha dato grande serenità e adesso dopo ventinove anni, posso dire che ho avuto ragione a fidarmi. E’ in questa situazione che abbiamo conosciuto Armando e altri amici che ci hanno aiutato in tanti momenti difficili.
Armando non ci ha detto molte parole, non ci ha dato consigli. Ricordo che, lui così alto, ha preso Andrea in braccio che sembrava ancora più piccolo, gli ha tenuto tra le sue una manina: quella mano non l’ha più lasciata».
Albina e Vincenzo Torchio