Fino all’età di nove mesi Stefania era una bella bambina come sono belli tutti i bambini piccoli. Era allegra, vivace e cresceva bene.
Tutto questo fino all’età di nove mesi, appunto. Perché tanti ne aveva quando le è stata somministrata l’ultima dose del vaccino antipolio «Sabin».
Le statistiche mediche dicono che un caso su ventimila può avere delle conseguenze fatali e disastrose. Stefania è stata il caso di una su ventimila.
La notte seguente la somministrazione del vaccino Stefania pianse tutta la notte; abitualmente era solita dormire tutta la notte. Il giorno seguente dormì tutto il giorno; un sonno profondo, duro da sembrare morta.
Ci siamo molto spaventati, abbiamo cercato affannosamente un medico. «Non c’è nulla da preoccuparsi», fu la sua risposta dopo averla visitata. Invece c’era moltissimo da preoccuparsi. Quella notte successe l’irreparabile. Il mondo improvvisamente ci crollava addosso e non lo sapevamo. Faticammo a capire ciò che stava succedendo. Cercavamo di sapere, di capire cosa mai fosse successo quella maledetta notte.
La sentenza non tardò ad arrivare. Una sentenza crudele, atroce, una sentenza inappellabile. La nostra Stefi, a seguito della somministrazione del vaccino era stata colpita da CEREBROPATIA, una diagnosi terribile.
Stefania avrebbe potuto continuare a vivere, ma in modo completamente diverso dalla normalità. Avrebbe vegetato per il resto della sua vita. Si, VEGETARE, questa era la parola esatta usata dalla medicina per definire le conseguenze della sua patologia. Era come se da un momento all’altro, da un giorno all’altro, tutto si fosse fermato, tragicamente mutato.
Ci sentimmo impotenti, increduli, smarriti.
Da quel momento una parola ci rodeva incessantemente il cervello, come un tarlo: «Non è vero, non può, non deve essere vero». Seguirono giorni di profonda angoscia e sconforto. Ci lasciavamo vivere e un vuoto inspiegabile si era formato attorno a noi.
Ebbe inizio il nostro peregrinare da una clinica all’altra, da un luminare ad un altro. Questa ricerca affannosa di una risposta, di una terapia miracolosa ci sorreggeva, ci illudeva, ci aiutava a nascondere e reprimere il nostro dolore.
Le difficoltà aumentarono allorché per Stefi venne il momento in cui avrebbe dovuto iniziare ad andare alla scuola materna, con i suoi coetanei e, successivamente alle elementari. Per lei non c’era posto. Stefania non era come gli altri bambini, perciò non poteva stare con loro!
La tentazione di lasciar perdere, di mollare tutto, era forte. Fu allora che alcuni amici ci aiutarono a credere che Stefania aveva gli stessi diritti degli altri bambini; Stefi era come gli altri e valeva la pena di lottare per affermare e realizzare questo suo diritto.
Questi amici avevano costituito quello che venne chiamato il Gruppo Spontaneo Handicappati. Con loro abbiamo lottato, con loro abbiamo imparato a SPERARE.
Il Gruppo Spontaneo crebbe e divenne molto attivo, in Alba e nell’albese. Quelli erano gli anni settanta, scossi e percossi da mutamenti sociali profondi. Il problema « disabili» divenne di attualità.
Il risultato di questa mobilitazione fu che Stefania poté frequentare la scuola, anche se fu una classe speciale, le fu affiancata una insegnante di appoggio e poté vivere, anche se con difficoltà, l’esperienza scolastica.
La nostra vita cambiò fortemente. Si osava nuovamente sperare. Non eravamo e non ci sentivamo più soli!
Il nostro problema non era solo più l’unico problema, ma si accompagnava a quello di tanti altri genitori.
I luminari che avevamo interpellato e che avevano espresso sentenze inappellabili, fortunatamente, si erano un poi sbagliati. Stefi non vegetava come un albero. Stefi viveva. Stefi vive tuttora come persona, gioisce, soffre e sa dare amore. Stefania ci ha aiutati e ci aiuta a superare le difficoltà piccole e grandi della vita che, forse, senza di lei non saremmo stati in grado di affrontare e superare.
Mario e Renata Fracchia