Quando negli anni ’70 in tutto il mondo, in Italia ed anche ad Alba, sorgevano gruppi spontanei a sostegno della integrazione sociale dei portatori di handicap mi soffermavo spesso a riflettere sulle motivazioni di questo impegno. Ve n’erano di profondissime che avevano le radici nei valori ideali, nei diritti fondamentali, nella fede in Dio Padre di tutti; ma nei momenti di difficoltà, quando ti trovavi a discutere con persone che si ritenevano troppo concrete per lasciarsi toccare dall’idealità, mi soccorreva una ragione molto pratica, nella quale credo profondamente: una società capace di creare le condizioni per cui una persona handicappata possa vivere a suo agio, sarà una società in cui tutti i componenti, anche quelli «super», faranno passi avanti notevoli nel proprio benessere, nello stare bene.
Il momento storico di quegli anni era particolare e non so dire se per convincimento o per uno strano senso del pudore le voci contrarie ad una apertura all’handicappato erano poche.
Si fecero passi avanti notevoli, sostenuti da leggi mirate ed accreditati da prese di posizioni importanti. Qualche piccolo miglioramento nel vivere sociale era persino riscontrabile. Poi, provocato da nulla e da nessuno cominciò a soffiare un vento contrario e fu… il riflusso.
Si incominciò con le crisi economiche, l’inflazione a due cifre, la recessione per giungere ai tagli alla spesa sociale accompagnati da interventi mirati a riportare la competitività come strumento di regolazione dei rapporti interpersonali sul lavoro e non soltanto lì.
Nulla come la competizione è in grado di emarginare i più deboli.
Così i falsi pudichi trovano la forza di venire allo scoperto. Non osano attaccare direttamente le categorie deboli ma sostengono a spada tratta la produttività che non può tenere conto dei limiti delle persone e si coniuga perfettamente con l’efficienza.
Il processo di integrazione dei disabili subisce un brusco arresto, anzi, forse fa qualche passo indietro, ma l’impegno degli anni ’70 una sicurezza l’ha data: il cammino di civiltà intrapreso dagli handicappati è irreversibile.
Subirà rallentamenti, attraverserà vicissitudini assurde, lascerà altri martiri sul suo cammino, ma non si arresterà. Sarà necessario cambiare ritmo e forma, adeguandosi alle caratteristiche dei tempi mutati, ma chi da sempre ha usato la pazienza come strumento per scardinare le più forti chiusure non si fermerà sicuramente. Quando, con la carenza di lavoro e le trasformazioni richieste ai lavoratori da un sistema economico sempre più forte ed accentrato, cade la speranza di trovare una collocazione lavorativa per i portatori di handicap entra in azione la creatività che inventa strutture, come la Cooperativa INSIEME, capaci di dimostrare che, con l’appoggio adeguato, un disabile non solo produce bene, ma rende evidente come il lavoro deve essere al servizio dell’uomo e non viceversa.
È un esempio piccolo, quello di una cooperativa, visibile solo a chi lo vuole vedere, ma reale e capace di mostrare che il cammino non si è interrotto.
Cambieranno ancora i tempi, forse ne verranno dei peggiori, ma senz’altro gli handicappati, i loro genitori, gli amici che insieme hanno intrapreso questo cammino di civiltà, perché tutte le persone godano più a fondo del dono della vita, sapranno trovare in ogni circostanza la forma per continuare nell’impegno di costruire una società più giusta.
Franco Foglino, Pensionato Ferrero