1° Ottobre 1974: entro per la prima volta come insegnante nella «classe speciale» del 3° Circolo Didattico di Alba che, da poco tempo, è stata istituita per sperimentare la scolarizzazione di ragazzi cosiddetti «non scolarizzabili», in quanto non possono essere inseriti nemmeno nelle classi speciali già esistenti, per il grave deficit intellettivo, fisico, psichico di cui sono portatori.
In effetti prima di quegli anni, anche se l’art. 34 della Costituzione Italiana recita che l’istruzione è un diritto di tutti, i soggetti portatori di handicap non possono usufruire realmente di tale diritto. Confesso che il primo impatto con quel mondo è duro, innanzitutto per l’isolamento dei miei alunni: la classe speciale è infatti ubicata in un luogo molto lontano dalla scuola e dalle altre classi e non può condividere nessun momento con gli alunni cosiddetti «normali». Inoltre mi deprime la rassegnazione dei genitori che si sentono «vinti» e quasi non credono che la scuola sia un loro diritto.
Poco per volta la situazione migliora; la mia giovinezza e la mia voglia di fare mi sono di grande aiuto e mi fanno dimenticare che quella è una classe speciale; per me quei ragazzi sono persone dotate ciascuna di talenti irripetibili come qualsiasi altro essere umano, pertanto credo sia doveroso porsi nei loro confronti in atteggiamento non pietistico, ma avanzando delle richieste che potrebbero, di primo acchito, sembrare eccessive.
Questa convinzione mi fa «osare di credere nel miracolo» ed incredibilmente tanti piccoli e quotidiani miracoli avvengono: il loro linguaggio migliora, si instaurano tante semplici buone abitudini, si viene volentieri a scuola per trovare degli amici, alcuni incominciano persino ad abbozzare prime forme di lettura.
Un altro grande aiuto è costituito dalla presenza costante di volontari del Gruppo Spontaneo Handicappati, che mi sostengono con visite quotidiane, appuntamenti periodici con le famiglie, la scuola, gli Enti Locali.
Gradualmente viene superato l’isolamento della classe grazie all’azione incessante di sensibilizzazione dell’opinione pubblica portata avanti dal Gruppo Spontaneo.
Il mio lavoro diventa sempre più interessante e ricco di esperienze sia dal punto di vista professionale che umano. Riesco a stabilire dei collegamenti trai miei alunni e alcune classi i cui insegnanti sono sensibili e aperti all’ «universo handicap».
Alla fine dell’anno decido di rimanere ancora per molto tempo nella classe, perché ho stabilito con alunni e famiglie un rapporto che va ben oltre a quello relativo al ruolo di insegnante; inoltre voglio verificare quanto la continuità sia utile ai processi di apprendimento.
Il tempo mi darà ragione, infatti alcuni alunni raggiungeranno un buon grado di integrazione e di apprendimento imparando perfettamente a leggere e a scrivere.
Negli anni successivi la distanza tra la nostra classe e le altre viene colmata; i ragazzi saranno invitati molto spesso a condividere con gli altri le attività motoria, pittorica, musicale, teatrale.
Tutto ciò non avverrà per caso, ma sarà il frutto di un operoso processo di crescita culturale e sociale promosso soprattutto dal Gruppo Spontaneo Handicappati che sosterrà le famiglie, aiutandole ad acquisire coscienza dei propri diritti.
Ricordando quegli anni di insegnamento mi rendo conto che forse sono stati i più belli e significativi di tutta la mia carriera, perché, nel mio piccolo, sento di avere contribuito a rendere la scuola veramente « di tutti».
A questo proposito voglio concludere raccontando un episodio che può apparire patetico, ma spiega la discriminazione assurda che vivevano le persone portatrici di handicap: un alunno durante la preghiera spontanea del mattino pregò così: «Grazie Signore, perché ci hai dato la scuola».
Adelmina Malgherini
Insegnante